martedì 11 aprile 2017

Cerco la Lingua

La bella occasione che ho avuto di contribuire alla Maratona di Narrazione che si è tenuta a Gorgonzola sabato 8 aprile, organizzata dall'associazione teatrale Fuoritempo, mi ha dato modo di riflettere su quale suono dare alla voce, quale linguaggio usare quando si vuole comunicare.


Dovevo infatti riprendere un vecchio racconto, concepito appunto per essere letto e valutare (imparare)  come darne la dinamicità sufficiente affinchè potesse essere narrato. Non sono in grado di giudicare se il risultato abbia poi corrisposto alle aspettative, sono parte in causa; certamente è stato un bell'esercizio.

Il fatto è che per comunicare in modo opportuno non si può usare una sola voce, una sola lingua.
Ci rapportiamo in modo differente se spieghiamo una cosa a un bambino o ad un adulto. Se introduciamo un concetto scientifico a un tecnico o a un umanista.
Inoltre, in  base a che emozioni vogliamo suscitare, o che immagini evocare, è opportuno utilizzare diversi registri stilistici.
Spesso capita che alcuni autori ( scrittori, ma anche musicisti, registi, altri tipi di artisti)  vengano perfettamente identificati con un particolare stile, che usano in ogni loro opera.  Si assiste poi al fenomeno della fidelizzazione: il pubblico si appassiona a quello stile e vi si affeziona, tanto che se l'autore sperimenta altre strade,  alcuni tra il pubblico lo abbandonano in quanto "traditore" di un particolare stile di comunicare.
Vista l'esiguità del mio pubblico, non ho di questi problemi.

E dunque cerco la lingua, la cerco nelle esperienze, la cerco nei ricordi, mi metto in gioco, mescolo i paradigmi della comunicazione professionale ( per sempre grazie a Luisa Carrada, che insegna a pulire, lucidare la comunicazione sino a che ne appaia l'essenza), e mi diverto a sperimentare.
Il frammento di racconto che segue delinea i pensieri di qualcuno che sta facendo jogging ( con fatica) e regola il pensiero e il respiro in base al ritmo della corsa.


La vite canadese ha abusato dell’ospitalità  delle robinie pallide pallide come questo sole  di un giallo appena accennato proprietà privata vietato l’accesso forse a piedi è consentito ho il cuore in gola  devo resistere me lo hanno detto che le prime volte è dura poi ti fai il fiato. E vai.
Quei fiori sembrano colorati con l’evidenziatore chissà che fiori sono non c’è nessuno qui ho visto solo un paio di persone eppure è un bel posto per fare jogging  a parte quel pattume  buttato un po’ dappertutto.
C’è umidità lo si vede dall’orizzonte carico di foschia e lo sento anch’io mi manca il fiato non respiro manca l’aria ancora poco poi mi fermo forse è meglio continuare ecco magari rallento.


Devo resistere non vorrai mica mollare la prima volta che fai una corsa il dottore dice che dovrei fare almeno  due tre ore di corsa la settimana però mi ha detto di non strafare si può iniziare con una mezz’ora ogni volta.

In un altro caso , ho sperimentato il dialetto (lombardo occidentale, nel mio caso)  per descrivere i pensieri di una signora anziana, di quelle "autoctone" lombarde, che mai avrebbero pensato in italiano. Ho dovuto scavare nei ricordi dei modi di dire dei miei genitori e nonni, per rendere veritiero il racconto
I  basej de questa gesa hinn semper pussè difficil de faa. 
Una volta entravi chi denter drissa 'me un fus. 
Adess són tuta storta, fò fadiga a vegnì fin chì da cà mia.
Fa fregg incö. Al senti in di oss.
Gh’è poca gent, in gesa a quest'ura. Dumè on quaivunn che'l se cunfessa. 
Gia`, duman l'è Natal. Anca quest'ann te nasset, Signur. 
Hinn tutt in festa. Tutt se fann dì regaj. 
Che regal te me fet, Signur? Te me purtaa via tuscos. 
Te duvarisset famm un regal.

( Quella qui  usata probabilmente non rispetta l'Ortografia Milanese classica, potrebbero essere necessarie alcune correzioni.)

Volendo invece raccontare in prima persona le vicende di un monaco del dodicesimo secolo, che quasi certamente si esprimeva in un misto di latino e volgare,  ho dovuto crearmi una scrittura che "apparisse" antica, anche se non poteva giocoforza essere autentica ( avete presente l'incipit in italiano antico dei Promessi Sposi, col Manzoni che poi sbotta per la difficoltà di comprensione e ricomincia con la lingua corrente? )


In nomine Sancte Trinitatis. Amen.
Mio caro Jacobus , fratello nella Fede di Nostro Signore,
perdonami per  aver mancato nei tuoi confronti, non avendo  subitamente risposto alla tua lettera.
Gli accadimenti di cui sono stato spectatore e nei quali non per mia volontà, ma per volere divino, ho avuto pur piccola parte mi hanno condotto in uno stato di confusione che solo un lungo periodo di preghiera e digiuno hanno cancellato. Ora posso narrare di quanto ho veduto con serenità e chiarezza.
E volentieri rendo a te, amico caro con cui ho condiviso il pane per tanta parte del nostro cammino spirituale, testimonianza delle mie vicissitudini.
Ecco dunque quanto avvenne.



Sperimentare con i racconti in fondo non è difficile, in fondo la particolarità stilistica che si vuole evidenziare deve reggere per poche pagine, non si rischia di annoiare il lettore. Diverso il caso di un lavoro che supera l'orizzonte delle cento pagine. Lì l'attenzione deve  essere mantenuta  non solo con la cifra stilistica. In Ex Umbris ho provato ad alternare i piani temporali, rompendo così il flusso della storia e a introdurre elementi che per contro la riannodano. Sta a voi decidere se questo giochino mi è riuscito.

Qui sotto l'incipit di Ex Umbris 




«Lo senti il profumo del mare?»
«Eccome!»
«Manca poco, vero?»
«Ancora una decina di minuti» risponde il papà di Irma, con un sorriso.
I petti si agitano, aspirano come mantici il salmastro, vorrebbero già essere in spiaggia.
Appena usciti dall’autostrada le ragazze avevano abbassato il finestrino per “respirare il mare”, dicevano.
Daniela, mamma di Irma le ha riprese.
«Chiudete, non siamo ancora arrivati.»
Hanno lasciato uno spiraglio, per far entrare l’aria carica di sale.

La visione del cartello bianco con la scritta FINALE LIGURE  porta al massimo l’eccitazione delle due ragazzine.




Post Scriptum:
Cerco la lingua è la canzone della PFM che ha ispirato il titolo di questo post. Qui sotto musica e testo



Cerco la lingua
La lingua che scorre
Che e dolce
Che rotola magica e folle
Dentro il cevello
E nella saliva
Rivolta le note
Spalanca la gola
Nei linguaggi delle strade delle osterie
Nell'inchiostro dei dialetti che non vien via
Cerco la lingua

Arrossata dal vino
Sbiancata dal sale
E dal fumo orientale
Dentro nei libri

E nelle canzoni
Rivolta il pensiero
E l'accento straniero
Alfabetto fatto di musica
Suono acceso sotto la cenere
Cerco la lingua

La lingua che scorre
Che e dolce
Che rotola magica e folle
Frasi fatte di musica
Suono acceso sotto la cenere
Lingua che mai ci metta a disagio

Che cambi ritmo
Che si lasci spezzare
Accarezzare
Che ci aiuti a dire le cose!



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