Racconto per Natale
Con
il suo passo ormai lento aveva raggiunto il Borgo. Sistemò le sue cose nella
casa in pietra che apparteneva alla sua famiglia da generazioni, e si appoggiò
allo stipite della porta. Da lì poteva vedere tutta la Valle.
Ogni
albero, ogni arbusto parevano disegnati da un artista, ogni roccia modellata da
uno scultore.
Impervie
pareti, alcune di esse cosparse di un velo di neve, delimitavano la fine della
valle, mentre torrioni di roccia assediati da una selva di pini facevano
corolla alla sua destra. Prati perfetti
ondeggiavano sul fondo valle.
I
ruscelli splendevano come diamanti incastonati in una cintura verde di abeti e
larici.
Vi
mancava da parecchio, ormai. Da quando, a malincuore, aveva dovuto arrendersi
agli anni che le abbracciavano le gambe, rendendole rigide come tronchi di
castagno, e le annodavano le mani, contorte e doloranti come radici d’erica.
La
chiamavano la Valle della Guarigione, perché chi vi si recava trovava conforto
nel corpo e nello spirito. Ella per lascito ereditario aveva in custodia quel
paradiso circondato da aspre cime, si
era presa cura di coloro che vi trascorrevano del tempo e aveva dovuto spesso
difenderla da chi intendeve speculare sulla sua bellezza e salubrità.
Ora
vi ritornava, per trascorrere gli ultimi giorni prima dell’ultimo passaggio,
che le avrebbe donato il riposo.
Era
come la ricordava, splendida, eppure impercettibilmente diversa.
Giovani
alberi le cui cime un tempo accarezzava con la mano erano diventati ora
vigorosi fusti dalle chiome accese proiettate verso il cielo.
Una
piccola frana aveva deviato il corso di un ruscello, aprendo un laghetto di zaffiro
dove la notte si specchiavano le stelle.
Si
sedette sulla panchina appoggiata al muro.
Al
suo fianco, la fonte quasi secca sgocciolava, e ogni goccia creava piccole onde
che si allargavano nella pozza d’acqua trasparente.
Ella
era stata un’onda. Aveva agito, in tutta la sua vita, spinta da una forza di
cui aveva ignorato l’origine. Una forza che era entrata prepotente nel
catino della sua vita e ne aveva generato onde.
La
valle era il fulcro di quella forza, la custodiva, la conteneva, anche se
quella era una forza più grande di quel luogo, più grande pure della Terra
stessa.
Fece
vagare lo sguardo, si distrasse a seguire il lento roteare dell’aquila.
Trasalì, al fischio vicino di una marmotta.
Lasciò
che la mente vagasse intanto a ritroso, ai ricordi legati a quella valle.
Quel
piccolo angolo di terra non era stato intaccato dalla numerose guerre che
secoli prima avevano sconvolto le montagne intorno. In essa molte famiglie del
villaggio vi avevano trovato rifugio, gettando i semi per ricostruire un mondo
un poco più giusto.
Sua
madre e suo padre avevano trascorso le prime stagioni del loro amore, e proprio
tra quelle cime ella era stata concepita.
Leandro,
il suo uomo, aveva con lei imparato a coltivare l’amore, e con lei aveva
condiviso sentieri, storie, avventure, senza mai vacillare.
Gli
abitanti del suo villaggio, grati di quel dono che aveva riportato la vigoria a
molti e rasserenato molti altri, le avevano offerto una amicizia sincera, un
affetto speciale che non era mai mancato, anche nei momenti più bui.
La
forza che la valle conteneva era amore puro. L’amore di ogni persona che lì aveva
abitato era traboccato, si era moltiplicato e era diventato cosa indipendente,
non si era dissolto con la scomparsa di chi lo aveva generato.
In
quello scrigno naturale, l’amore era diventato goccia che si espande in un’onda
che tutto abbraccia.
Sospirò,
considerando tutte quelle cose.
Di
quella valle, della sua storia, di tutto l’amore ricevuto lei sarebbe stata,
per sempre, profondamente grata.
Gabriella
e Loris Navoni