mercoledì 25 febbraio 2009

Edificare la comunita`

"Una chiesa - nel senso di edificio - puo` aiutare a costruire una Chiesa - comunita' di persone?"
E` questa la domanda che ho fatto stasera a don Luigi Caldera, intervenuto telefonicamente alla puntata odierna (Mattoni e Chiesa) di Persona e Citta` ( RCS 939 ) , durante la quale gli ospiti ed amici Alessandro Raimondi e Paolo Grassi hanno illustrato le caratteristiche della ristrutturazione della chiesa prepositurale. La risposta del nostro ex-parroco e` stata a rivelatrice.
"Certo - ha risposto - intorno alla chiesa-edificio ruota il cuore della citta` ed e` punto cardine della vita comunitaria, permette di rafforzare quei link necessari alla comunita` per essere viva e vivace. L'edificio deve essere anche adeguato dimensionalmente, pena la frammentazione ".

Aggiungo io che questo vale perche` il rapporto con Dio non e` solo biunivoco( personale tra te e Dio) , ma ha senso se si e` immersi e si condividono i valori di una comunita`. E il luogo di culto diventa luogo di ritrovo, di condivisione di esperienze, assume valore anche per chi non crede ( posto che rispetti i credenti) sia per la valenza storica che per il fatto di rappresentare il cuore di una comunita` che poi agisce nel contesto sociale.
Poi, naturalmente, perche` questo avvenga e rimanga sono necessari pastori che guidino con saggezza e lungimiranza la Chiesa degli uomini. Percio` ringraziamo don Luigi perche` e` stato ed e` stimolo e sostegno per il cammino che ci e` dato da fare. E don Ettore che ne raccoglie l'impegnativa eredita`

martedì 24 febbraio 2009

Ancora sul fotovoltaico e sulla complessità delle cose

Nel mio post precedente ho fatto alcune considerazioni in base a dati assolutamente approssimativi: ora rimedio.

Riporto da Wikipedia:

Secondo altri studi (effettuati nel 2004), per coprire il consumo energetico elettrico italiano sarebbero necessari 1.861 km² (supponendo 1500 ore di insolazione all'anno che generi la potenza di picco e 8 per Kwp).

La superficie totale italiana è pari a 301.171 km², quindi servirebbe coprire lo 0,6% della superficie italiana per fare fronte al consumo elettrico nazionale. Considerando una superficie agricola utile di 13 milioni di ettari, si dovrebbe quindi coprire con campi fotovoltaici una superficie pari all'1,4% dei terreni agricoli."

Ed ecco alcuni dati sull'efficenza energetica ( clicca sull'immagine per vedere in dettaglio- fonte: EU PV Technology platform: "A Strategic Research Agenda, June 2007 ):


basterebbero questi dati per dare alla ricerca fotovoltaico il posto che merita.
Siamo poi in buona compagnia se un economista visionario come Jeremy Rifkin prevede che :
La terza rivoluzione industriale comporta una nuova era di capitalismo allargato, in virtù del quale milioni di proprietari di casa e di aziende esistenti e nuove diventeranno produttori di energia. ( si legga qui l'intero articolo )

Insomma, a guardare questi qui sopra, che non sono altro che alcuni esempi, ci sono buone prospettive per un sviluppo rispettoso dell'ambiente e della salute , purchè vi sia la volontà politica per perseguire gli obiettivi giusti.

E qui giungo alla seconda parte del mio commento, che ho già fatto nei post precedenti, ma ... repetita juvant: è molto più semplice, più confortevole ( a causa del senso di appartenenza al branco che si sviluppa ) schierarsi tout court da una parte della barricata.
E' apparentemente più conveniente trovare soluzioni che mantengano lo status quo, che non implichino un rimescolamento del proprio modo di vivere e di pensare, che non obblighino a prendere coscienza della propria presenza su questo pianeta.

Tutto questo è la scelta del nucleare.
E' rimandare la ricerca di una soluzione in un futuro imperfetto.
E' mettere la polvere sotto il tappeto, solo che questa polvere è radioattiva.

Invece dobbiamo comprendere che non esiste più ( non è mai esistita, ma perlomeno nel passato - parecchi secoli fa- i danni collaterali erano limitati e locali ) la soluzione che "lava via anche la stanchezza" ( claim pubblicitario di un bagno schiuma di qualche decennio fa).
Problematiche complesse richiedono risposte adeguate, che si danno solo se si è consapevoli di quello che si va ad affrontare.

L'opzione nucleare non è di per sè il male assoluto. Solo che al rischio, pur minimo, di incidente corrisponde un livello di pericolosità altissimo, catastrofico. Per contro nelle energie rinnovabili il rischio di incidente può anche essere alto, perchè al più si ha un non funzionamento dell'impianto ( alla peggio un debole e locale inquinamento , penso ala fuoriuscita di liquido da qualche tipo di circuito di scambio ).
Queste valutazioni devono essere fatte, rese pubbliche, discusse. Ragionare solo in base all'importo sulla bolletta e ai proclami dei potenti alla televisione può non essere sufficiente. E rischioso.

sabato 21 febbraio 2009

Rinnovabili: non e` la strada che amano i potenti

Sembrerebbe semplice, basterebbe un po' di impegno da parte di tutti, e con un balzo tecnologico pari a quello che ha fatto la microelettronica dal 1958 , anno di nascita del primo circuito integrato, ad oggi, ove nello stesso spazio occupato dai dieci transitor del primo circuito, ve ne sono centinaia di migliaia.
Dunque, se la ricerca nel fotovoltaico ( che oggi ha una resa poniamo intorno al venti per cento, ma raggiunge il quaranta in laboratorio, segno che margine di miglioramento ce n'e` ) o nelle altre fonti fosse adeguatamente sostenuta, anche i dubbi sulla capacita` con esso di coprire il fabbisogno mondiale potrebbero forse essere fugati. Si tenga conto anche che molte delle grandi aziende multinazionali stanno investendo sulle tecnologie rinnovabili, soprattutto sul fotovoltaico.

Appare dunque strana l'ostinazione che i governanti del nostro paese hanno sui programmi nucleari, costosi, dall'incerto successo, e nonostante le rassicurazioni, pericolosi.
Forse e` piu` semplice, forse piu` remunerativo ( in termini di potere) concentrare la produzione di energia in mano a a pochi attori, possibilmente amici di chi governa, che renderla partecipativa e democratica.
Per questo le azioni che cercheremo, come famiglia, di intraprendere nel speriamo prossimo futuro, saranno improntate al risparmio e all'uso dell'energia rinnovabile, indipendentemente dall'esistenza di incentivi statali o meno;
per questo aderisco tardivamente alla ( ennesima - me ne sono perse alcune) catena dei blog organizzata da Kuda e invito a leggere e partecipare qui alla costruzione di proposte intelligenti di leggi sulle energie alternative al petrolio, al carbone e al nucleare.

venerdì 20 febbraio 2009

in Radio (RCS 939 )

Persona e Città

Mercoledì 25 Febbraio ore 19

Mattoni e Chiesa

"la ristrutturazione della prepositurale"

Ospiti in Studio:

Paolo Grassi

Alessandro Raimondi

Conduce: Loris Navoni

Replica Giovedì 26 Febbraio ore 6

mercoledì 18 febbraio 2009

Attrattori ... non molto strani


Nel mio lento percorso di apprendimento sui temi della complessità ( credo che riuscirò ad avere un quadro completo della faccenda in tempo per la pensione), uno dei temi più intriganti in cui mi sono imbattuto è quello degli attrattori strani presenti nella teoria del caos ( legata a quella della complessità con filo doppio).

Un attrattore è, in parole semplici, la rappresentazione dinamica di un sistema che esegue determinate azioni che in buona sostanza si ripetono nel tempo.

Ad esempio il movimento di un pendolo è rappresentabile da un attrattore (graficamente sul piano cartesiano può essere rappresentato da velocità e posizione ) e se si attuano piccole perturbazioni al movimento del pendolo ci si aspetta ragionevolmente che questo, dopo breve tempo, riacquisti la stabilità iniziale.

Gli attrattori strani hanno la particolarità di rappresentare dinamiche caotiche, che apparentemente non hanno comportamenti coerenti, ma che rivelano proprio attraverso la rappresentazione grafica caratteristiche interessanti.

( Io l’ho fatta breve, e mi sono state d’aiuto queste pagine di wikipedia –per le definizioni - e il libro Caos, di J.Gleick )

Proviamo ora a riportare questi concetti nella vita reale, e analizziamo, tanto per fare un esempio, uno dei comportamenti più comuni dell’uomo medio occidentale: la fruizione dei programmi televisivi.

Apparentemente disponiamo della più ampia libertà di azione, in ambito televisivo, oggi poi che le offerte si moltiplicano in modo esponenziale.

Sin da quando sono apparsi i televisori multicanali ( ricordate? Sino a novantanove canali – per non usare un diplay a sette segmenti in più, necessario per arrivare a cento ), ci si è illusi di poter disporre di una libertà di scelta pressoché infinita.

Ora poi che l’offerta non vede solo la tv generalista, ma i programmi satellitare, il digitale terrestre, lo streaming su web, ci si sente come dio in terra, in grado di padroneggiare il nostro tempo libero come si vuole.

Ma, a ben vedere, il modello che descrive il comportamento di un utente medio è proprio un attrattore strano.

Una apparente dinamica caotica ( quindi, dal punto di vista utente, sostanzialmente libera) rivela invece, nello spazio degli stati, una sostanziale adesione ai modelli di marketing e dei mezzi di confusione di massa.

Bene fanno Luca De Biase e Luca Chittaro a mettere in guardia sull’information overload e tutto quanto ne consegue.

Ma chi li legge, di solito, già è fuori dal campo di attrazione.

E gli altri?


P.S. mi perdoneranno i puristi per l'uso disinvolto che faccio di concetti scientifici e del mescolamento con dinamiche sociali . E' un punto di vista assolutamente personale e privo di qualsiasi fondamento scientifico. Però è utile per rendere meglio l'idea

martedì 10 febbraio 2009

Complessita` e vita quotidiana


Non sono uno studioso e nemmeno uno scienziato: sono solo un curioso che legge e segue i progressi della comunita` scientifico-tecnologica.
Mi interessa tuttavia capire come la scienza si declina nell’utilizzo e nel pensare comune, come la gente percepisce ( se li percepisce) i progressi scientifici o ne coglie solo i vantaggi tecnologici, quando questi ci sono.
Infatti, solo quello che si riesce a fare proprio, attraverso le proprie capacita` analitiche, che si inserisce consapevolmente o meno nella propria realtà` quotidiana, diventa bagaglio culturale comune, magari travalicando il significato originario.
Pertanto con queste mie riflessioni non ho nessuna pretesa, se non sottolineare il gap che esiste tra “scienziato” e “uomo comune”, magari suggerendo, nel mio piccolo, azioni che in qualche modo avvicinino gli estremi.


La teoria della complessita` separa quest’ultimo concetto da quello di complicazione, ( essendo quest’ultima modellabile secondo leggi lineari, mentre la prima gestisce o interpreta i fenomeni per i quali è necessario un approccio sistemico, perche` la trattazione analitica non è sufficiente a spiegarli ) ma per la gente comune questa separazione non è così evidente.
Per la percezione che se ne ha nella vita quotidiana, spesso quanto e` per gli studiosi “solo” complicato, ovvero rappresentabile con modelli lineari, acquista carattere di complessita`, perche` l’uomo medio non ha strumenti per interpretare e leggere la complicazione.
Di fatto il confine è sfumato e, in alcuni casi, arbitrario, in quanto il modello descrittivo di un sistema puo` essere difficile da comprendere: quindi non è detto che il sistema sotto osservazione sia effettivamente complesso, ovvero rappresentabile solo con modelli non lineari, ma il suo alto livello di complicazione fa si` che per un utente medio esso venga percepito tale , perche` al di la` della portata dei modelli mentali a cui l’utente puo` accedere mediante il suo bagaglio culturale.
E dunque si guida l’auto senza comprendere il funzionamento del motore ( anche se si è costretti a studiarlo al conseguimento della patente ), o il cellulare senza sapere quale è il percorso che i segnali compiono dentro e fuori l’apparecchio. Non solo, ma si ha la tendenza ad umanizzare il comportamento di macchine complicate, proprio perche` non è chiaro ( o lo è a prezzo di un faticoso studio) il modello a base di tale dispositivo.
Il comportamento di una pentola a pressione è facilmente prevedibile anche senza avere nozioni di termodinamica, quindi il dispositivo non appare complesso ( in questo caso nemmeno complicato) ; il comportamento di un orologio ( non multifunzione!) viene percepito come complicato ma non complesso, perche` il comportamento è, nei tempi e nei limiti della percezione umana , lineare ( anche se gli esperti mi insegnano che le oscillazioni (- del bilanciere o del quarzo - non sono del tutto lineari).
Invece un dispositivo il cui principio di funzionamento non è immediatamente comprensibile, quali un computer, viene inteso come qualcosa che si comporta in modo non del tutto prevedibile, rassegnandosi a dedurne il comportamento tramite l’esperienza su di esso e l’osservazione ( e questo vale non solo per gli utilizzatori domestici, ma spesso anche per professionisti ).
A complicare (perdonate il bisticcio verbale) la situazione, o a parziale spiegazione, si aggiunga il fatto che l’uomo non è fisiologicamente predisposto a gestire situazioni complesse: l’osservazione e l’analisi di un fenomeno, di un accadimento, ricorrono in prima istanza all’uso della memoria di lavoro che è in grado di gestire non più di sette concetti circa per volta.
Frammentare l’osservazione e gerarchizzazre i concetti è il metodo per gestire grandi quantita` di dati con una memoria limitata
Solo in un secondo momento , la sua memoria di lavoro è in grado di gestire non più di sette concetti alla volta.
Per cio`, nel momento in cui è costretto ad esaminare una situazione cui far fronte, un essere umano non ha altra scelta che adottare la modalità analitica, alla pratica del divide et impera . Col rischio di perdere di vista, nella analisi del particolare, la visione globale, the big picture.
Ma questa è la concretizzazione nella vita quotidiana del metodo classico del riduzionismo, che abbiamo visto non essere sempre in grado di fornire gli strumenti adatti per la risoluzione dei problemi.
Come preparare allora la gente a riconoscere la complessita`? E a quale scopo ?
Al di la` di un processo educativo che deve portare a saper si` categorizzare, ma anche a trovare relazioni tra le categorie e capire che tali relazioni sonomutuamente influenzabili, l’auspicio è che ci si anche una motivazione forte a concepire come necessaria questa capacita` di riconoscimento.
Perche` le risposte semplicistiche o parziali a delle realtà complesse sono sempre fallaci. E non sempre è utile la categorizzazione dualistica, non sempre o è giusto o è sbagliato.
Il mondo, l’universo si rivela giorno dopo giorno sempre più complesso. Dotarsi di strumenti adeguati ad interpretarlo potrebbe essere una questione di sopravvivenza

lunedì 9 febbraio 2009

Persona e città

a Persona e Città
Mercoledì 11 Febbraio ore 19
Letteratura Locale, Pensiero GLOBALE 2a parte
Ospiti in Studio:
Ernestina Galimberti autrice di Angelo degli Altri
Conduce: Loris Navoni
Replica Giovedì 12 Febbraio ore 6

mercoledì 4 febbraio 2009

Princìpi e vita reale

A proposito della vicenda Englaro, non mi permetto di dare giudizi o formulare soluzioni ( per una volta sono con il presidente della Camera Gianfranco Fini: "Invidio chi ha certezze sul caso Englaro. Personalmente non ne ho, ne' religiose ne' scientifiche. Ho solo dubbi, uno su tutti: qual e' e dov'e' il confine tra un essere vivente e un vegetale?".
Mi permetto solo di dire che tutte queste discussioni, queste alzate di scudi mi fanno pensare che i princìpi, i valori assoluti, irrinunciabili devono poi essere declinati nella vita reale.
E questo, spesso, i politici, i filosofi,i religiosi lo dimenticano
Appunti
Commento sul mio taccuino ( cartaceo e in web) gli argomenti che di volta in volta mi sembrano più interessanti, con un obiettivo semplice: cercare di migliorare e rendere più chiara la mia visione del mondo. E se questo può aiutare anche voi, ne sono felice.