martedì 25 marzo 2014

La presunzione di conoscenza

E' una cosa irritante. Non solo per la spudorata leggerezza con cui si giudicano situazioni e persone avendo a disposizione solo un frammento della verità. Non solo per la veemenza e l'entusiasmo, a seconda dei casi, con cui si diffondono giudizi.  Ma soprattutto per l'evidente parzialità del giudizio, per al sopraffazione dello spirito critico a favore dei pregiudizi, cui basta un cenno, un titolo di articolo, una informazione riportata per  esplodere deflagrando condanne e commenti tranchant.
Un tempo, per le generazioni del dopoguerra, il punto di riferimento culturale era la TV. E in un mondo appeno poco più che rurale, probabilmente bastava. L'interpretazione del mondo era mediata dal mezzo televisivo. E la notizia era vera perchè trasmessa in TV.

Ma ora, con la produzione di informazione che ha già raggiunto nel mondo cifre ben al di sopra della normale esperienza sociale, ( quasi tre miliardi di persone connesse,  cinquecento milioni di tweet lanciati ogni giorno, più di 43.000 ricerche in Google AL SECONDO , giusto per dare i primi numeri che ho trovato ), davvero possiamo accontentarci dell'informazione ri-postata, del titolo sensazionlistico, della notizia tragica che stimola la ricerca del macabro, l'accanimento che soddisfa i nostri peggiori istinti?

Davvero ci basta un  articoletto su Facebook per pontificare su tutto?

Ci sono BUFALE sul Web che prosperano perchè chi le legge non si prende la briga di verificarne la correttezza ( c'è qualcuno che si impegna in questo senso, non solo Paolo Attivissimo, ma anche il sito Bufale un tanto al chilo o, per i casi scientificamente più dubbi, il CICAP, anche con il sito Query On Line).
E nel dubbio, perchè ri-postare rischiando di fare una figura di m. ?
E se  una notizia riportata desta la nostra attenzione, perchè non provare ad approfondire? A volte è sufficiente Wikipedia,  a rimettere le informazioni nel giusto contesto. Altre volte è necessario un po' più di attenzione e qualche sforzo in più, magari sfruttando un motore di ricerca per poter disporre di un serbatoio di conoscenza che garantisca la pluralità di vedute necessaria.
Il mondo è così ricco di aspetti e di complessità che fermarsi ai pre-giudizi ( e soprattutto agire in base a quelli)  indica solo una cosa: la nostra mediocrità.

Se ci lamentiamo che le cose non vanno, che siamo governati da incapaci (!) , che  vorremmo che il mondo fosse più giusto, beh, forse vale la pena partire da noi stessi.

martedì 11 marzo 2014

Parole per emozionare, scrittura per sapere

Che la scrittura fosse il chiaro spartiacque tra il limbo della preistoria e la narrazione documentata dell'evoluzione della cultura  e` noto sin dalle elementari. Concretizzare il pensiero in simboli impressi su legno, argilla, pergamena o carta  ha contribuito allo sviluppo di una nuova forma di coscienza di se`. Non piu` solo come individuo, o come membro solidale di una tribu` di pochi , ma parte di una comunita` piu` vasta, di una  nazione  ( sino a farsi faticosamente strada la consapevolezza di appartenere ad un mondo che deve essere custodito). Che trova nella scrittura il  canale per  stringere legami, stabilire relazioni, coordinare  azioni, pianificare sviluppi.
L'identita` di un popolo si costruisce dunque sulle consuetudini, sulle relazioni "fisiche" ma anche sulla conservazione e trasmissione della conoscenza specifica attraverso la scrittura.


Che scrivere e leggere fossero operazioni innaturali, non avevo mai pensato.
Me lo ha ricordato non la lettura di un trattato di psicologia o di linguistica, ma una pratica guida alle regole di User Interface, certo piu` confacente al mio livello culturale  :-)
"Designing with the Mind in Mind" di Jeff Johnson, del 2010.
Per milioni di anni nella mente umana si sono sviluppate ed evolute delle strutture  specifiche per il linguaggio,  a cui contestualmente si e`aggiunta una accresciuta capacita` di fonazione. L'abilita` di parlare e` innata nella specie umana.
La scrittura  e` frutto invece di una evoluzione culturale che non trova riscontro in nessuna struttura neurale. Il processo ha portato all'uso di simboli tracciati su una superficie cui attribuire significato, e successivamenta allo sviluppo di convenzioni affinche il significato dei simboli fosse universalmente accettato ( nel contesto di una societa`, quantomeno, da qui lo sviluppo di molte forme di scrittura, simbolica o fonetica).

Dalla considerazione dell'innaturalita` della scrittura deriva un pensiero che mi sembra interessante.

La parola, per  sua genesi, è strettamente correlata con tutta la sfere della personalità, in particolare con quella emozionale. Infatti una conversazione o un monologo è tanto più efficace quanto più incide sulle emozioni, anche attraverso le metainformazioni associate al discorso ( informazioni visuali, quali espressioni facciali o postura , o sonore quali inflessioni, enfasi , volume della voce ). La voce colpisce la mente com una fucilata, inganna, seduce, ordina, implora. Chi sa usare la parola domina ( tristi gli esempi del passato).

Perchè invece la parola scritta entri nella coscienza è necessario uno sforzo in più, decifrare i simboli , a partire dalle linee e dalle forme, che diventano segni alfabetici, quindi pattern riconoscibili, parole e infine frasi con senso compiuto. In questa analisi poco spazio è lasciato all'emozione.

 Non è un caso infatti che, di fronte ad una qualsiasi problema  di un certo peso ci venga sottoposto, si cerchi di  trasporre in forma scritta, magari corredato da grafici, per poter meglio analizzare tutti i suoi aspetti.
Si dice infatti che si ragiona meglio a mente fredda, ovvero depurati dal contenuto emotivo che inevitabilmente lega una conversazione.
Peraltro è comune nella narrazione che  le conversazioni cerchino di replicare , anche graficamente ,  la fluidità e la frammentazione che avviene nella realtà, suggerendone in questo modo anche il contenuto emozionale.
Superare il muro cognitivo dell'analsi del testo e far affiorare le emozioni dalla parola scritta è abilità non comune, lavoro difficile anche per scrittori navigati.




sabato 1 marzo 2014

Ma gli androidi a Cernusco sognano pulcini elettrici?

Mi e` stato chiesto, anche per la mia "militanza" nell'associazione Cernusco2032 - Innovation Lab,  di pensare a come potrebbe essere il futuro della imminente Fiera di San Giuseppe, tradizionale fiera patronale del comune di Cernusco e di stendere due righe per il bollettino locale Voce Amica.
Qui il mio contributo:


Stringo forte la mano di mio padre, un po’ intimorito per la confusione e per le imponenti macchine che ci sovrastano di un pezzo. il campo di terra, tanto calpestato dai ragazzi che a tutte le ore trovano un pretesto per giocare a calcio, è ora affollato di curiosi e addetti ai lavori. Non capisco perchè la gente sia così tanta, ma sono attirato dagli animali esposti, pulcini, conigli, qualche animale più grande, un maiale. E ancora pulcini, scatole brulicanti di batuffoli gialli, destinati in pochi mesi ad evolvere in utili galline da uova o da carne.
Il mio primo ricordo da bambino della Fiera è questo. Poi sarebbero seguiiti le giostre, l’esposizione auto - non particolarmente interessato in questo ma seguivo gli amici - le bancarelle e le mostre.
Se, come mi è stato chiesto, si vuole dare una visione di quello che la Fiera di San Giuseppe potrà diventare nel futuro, è gioco forza dare uno sguardo al passato.
E si comprende come la Fiera sia stata riflesso della societa che mutava da rurale a industriale, da piccolo paese a cittadina legata alla grande area metropolitana.
Mi aspetto dunque che la Fiera mantenga questo ruolo, specie attraverso le istituzioni, che possono dare indirizzi tematici e modulare spazi e tempi in relazione alle esigenze che mutano con il tempo.
Dunque e` facile suggerire per il prossimo anno e per quelli a venire su quale tema porre l'accento. Se il problema della alimentazione assume dimensioni mondiali, molto piu` che per altri esso risulta strettamente legato al territorio e alla cultura che quel territorio esprime. Nonostante le apparenze, abbiamo ancora a Cernusco e nelle zone della Martesana e della Brianza un importante substrato di produttori agricoli e di trasformazione alimentare, non solo a livelli industriali, anzi spesso proprio con un impatto diretto sulla comunita` a volte non immediatamente visibile.
Possiamo quindi immaginare una Fiera che raccolga la sfida di Expo2015, valorizzando le eccellenze alimentari, gastronomiche e culinarie che il nostro territorio può offrire?


Altre trasformazioni si stanno affacciando, il lavoro, la mobilità, le comunicazioni stanno modificando radicalmente la nostra vita in modi che oggi siamo appena in grado di immaginare, ma di cui non abbiamo ancora chiara visione.
La Fiera di San Giuseppe saprà essere specchio di questi cambiamenti? Solo se lo saranno le istituzioni civili, religiose e la società civile.
Forse dunque fra un decennio o più la Fiera ospiterà più artigiani che concessionari d’auto o bancarelle di dolciumi, forse sarà vetrina di iniziative imprenditoriali dalle dinamiche oggi impensabili. Forse vedremo gabbie affollate di pulcini robot.
Ciò che non cambierà sarà l’opportunità di scoprire e celebrare l’anima di Cernusco.
 
 


Appunti
Commento sul mio taccuino ( cartaceo e in web) gli argomenti che di volta in volta mi sembrano più interessanti, con un obiettivo semplice: cercare di migliorare e rendere più chiara la mia visione del mondo. E se questo può aiutare anche voi, ne sono felice.