Raramente corro a acquistare l'ultimo best seller annunciato. Di solito mi prendo un po' di tempo, specie se conosco poco l'autore. Così ho fatto per "Eccomi" di Jonathan Safran Foer. Di lui mi aveva incantato "Molto forte, incredibilmente vicino" storia di un ragazzino orfano di padre a causa dell'attacco alle Torri Gemelle del 11 settembre 2001. Un modo di scrivere controcorrente, molto visuale, grafico. Prima di passare all'attesissimo libro uscito lo scorso anno e per il quale erano state spese tonnellate di parole, ho voluto tastare il polso a JSF leggendo il suo primo romanzo, "Ogni cosa è illuminata".
L'inizio è rocambolesco: la ricerca delle origini in Ucraina del protagonista narrate da un ucraino che parla inglese ( italiano nella traduzione) in modo stralunato.
Stavo proseguendo nella lettura, a cui dedico meno tempo di quanto vorrei, quando mi sono imbattuto in un libro di cui avevo sentito parlare in toni entusiastici. Storia della pioggia, di Naill Williams.
E' bastato leggere alcune frasi nella prima pagina, e me ne sono innamorato.
"Non so se il tempo arrugginisce o lucida l'anima dell'uomo, se è vero che è meglio guardare in alto piuttosto che in basso. Noi siamo la nostra storia, la raccontiamo per rimanere vivi o mantenere in vita quelli che raccontiamo."
Citando i titoli della libreria di suo padre, che nella forzata immobilità ha consumato interamente, la ragazza narrante traccia la storia di una famiglia piuttosto comune, irlandese ma non troppo. Io non amo molto i romanzi famigliari, corali, dove è facile perdersi ( avete presente quanti Buendia ci sono in "Cent'anni di solitudine" di Garcia Marquez? ), ma qui si VEDE l'Irlanda, il fiume Shannon, i campi eternamente umidi dalla pioggia incessante. Sulla quarta di copertina questo libro è presentato come un inno al potere curativo dei libri che sorprende per l'originalità con cui svolge l'antico tema del legame tra letteratura e vita.
Non so se i libri abbiano veramente un potere taumaturgico. Di certo in essi trovi mondi con i quali confrontarsi, dai quali cogliere il meglio per essere noi stessi migliori.
Perchè leggo
Se leggo, è perchè voglio capire. Se apro un libro, è perchè voglio immergermi in un mondo, immedesimarmi in un personaggio, apprezzare una storia. Se fosse possibile, andrei ad ascoltare tutti gli esperti del mondo, alle conferenze, alle lezioni. Seguirei gli esploratori nei loro viaggi, gli avventurieri nelle loro imprese. Ma non è possibile. Per questo leggo. Dai libri, dai giornali, dalle pagine web. Non importa dove. Importano le storie, importa la conoscenza. Dei libri, amo il contenuto.
La bella occasione che ho avuto di contribuire alla Maratona di Narrazione che si è tenuta a Gorgonzola sabato 8 aprile, organizzata dall'associazione teatrale Fuoritempo, mi ha dato modo di riflettere su quale suono dare alla voce, quale linguaggio usare quando si vuole comunicare.
Dovevo infatti riprendere un vecchio racconto, concepito appunto per essere letto e valutare (imparare) come darne la dinamicità sufficiente affinchè potesse essere narrato. Non sono in grado di giudicare se il risultato abbia poi corrisposto alle aspettative, sono parte in causa; certamente è stato un bell'esercizio. Il fatto è che per comunicare in modo opportuno non si può usare una sola voce, una sola lingua.
Ci rapportiamo in modo differente se spieghiamo una cosa a un bambino o ad un adulto. Se introduciamo un concetto scientifico a un tecnico o a un umanista.
Inoltre, in base a che emozioni vogliamo suscitare, o che immagini evocare, è opportuno utilizzare diversi registri stilistici.
Spesso capita che alcuni autori ( scrittori, ma anche musicisti, registi, altri tipi di artisti) vengano perfettamente identificati con un particolare stile, che usano in ogni loro opera. Si assiste poi al fenomeno della fidelizzazione: il pubblico si appassiona a quello stile e vi si affeziona, tanto che se l'autore sperimenta altre strade, alcuni tra il pubblico lo abbandonano in quanto "traditore" di un particolare stile di comunicare.
Vista l'esiguità del mio pubblico, non ho di questi problemi. E dunque cerco la lingua, la cerco nelle esperienze, la cerco nei ricordi, mi metto in gioco, mescolo i paradigmi della comunicazione professionale ( per sempre grazie a Luisa Carrada, che insegna a pulire, lucidare la comunicazione sino a che ne appaia l'essenza), e mi diverto a sperimentare. Il frammento di racconto che segue delinea i pensieri di qualcuno che sta facendo jogging ( con fatica) e regola il pensiero e il respiro in base al ritmo della corsa.
La vite canadese ha abusato
dell’ospitalità delle robinie pallide
pallide come questo sole di un giallo
appena accennato proprietà privata vietato l’accesso forse a piedi è consentito
ho il cuore in gola devo resistere me lo
hanno detto che le prime volte è dura poi ti fai il fiato. E vai.
Quei fiori sembrano colorati con l’evidenziatore
chissà che fiori sono non c’è nessuno qui ho visto solo un paio di persone
eppure è un bel posto per fare jogging a
parte quel pattume buttato un po’
dappertutto.
C’è umidità lo si vede dall’orizzonte
carico di foschia e lo sento anch’io mi manca il fiato non respiro manca l’aria
ancora poco poi mi fermo forse è meglio continuare ecco magari rallento.
Devo resistere non vorrai mica
mollare la prima volta che fai una corsa il dottore dice che dovrei fare
almeno due tre ore di corsa la settimana
però mi ha detto di non strafare si può iniziare con una mezz’ora ogni volta.
In un altro caso , ho sperimentato il dialetto (lombardo occidentale, nel mio caso) per descrivere i pensieri di una signora anziana, di quelle "autoctone" lombarde, che mai avrebbero pensato in italiano. Ho dovuto scavare nei ricordi dei modi di dire dei miei genitori e nonni, per rendere veritiero il racconto
I basej de questa gesa hinn semper pussè
difficil de faa.
Una volta entravi chi denter drissa 'me un fus.
Adess són tuta storta, fò fadiga a
vegnì fin chì da cà mia.
Fa fregg incö. Al
senti in di oss.
Gh’è poca gent, in
gesa a quest'ura. Dumè on quaivunn che'l se cunfessa.
Gia`, duman l'è Natal.
Anca quest'ann te nasset, Signur.
Hinn tutt in festa. Tutt se fann dì regaj.
Che regal te me fet, Signur? Te me purtaa via tuscos.
Te duvarisset famm un
regal.
( Quella qui usata probabilmente non rispetta l'Ortografia Milanese classica, potrebbero essere necessarie alcune correzioni.)
Volendo invece raccontare in prima persona le vicende di un monaco del dodicesimo secolo, che quasi certamente si esprimeva in un misto di latino e volgare, ho dovuto crearmi una scrittura che "apparisse" antica, anche se non poteva giocoforza essere autentica ( avete presente l'incipit in italiano antico dei Promessi Sposi, col Manzoni che poi sbotta per la difficoltà di comprensione e ricomincia con la lingua corrente? )
In nomine Sancte Trinitatis. Amen.
Mio caro Jacobus , fratello nella Fede di
Nostro Signore,
perdonami per aver mancato nei tuoi confronti, non avendo subitamente risposto alla tua lettera.
Gli accadimenti di cui sono stato spectatore e nei quali non per mia
volontà, ma per volere divino, ho avuto pur piccola parte mi hanno condotto in
uno stato di confusione che solo un lungo periodo di preghiera e digiuno hanno
cancellato. Ora posso narrare di quanto ho veduto con serenità e chiarezza.
E volentieri rendo a te, amico caro con cui
ho condiviso il pane per tanta parte del nostro cammino spirituale, testimonianza
delle mie vicissitudini.
Ecco dunque quanto avvenne.
Sperimentare con i racconti in fondo non è difficile, in fondo la particolarità stilistica che si vuole evidenziare deve reggere per poche pagine, non si rischia di annoiare il lettore. Diverso il caso di un lavoro che supera l'orizzonte delle cento pagine. Lì l'attenzione deve essere mantenuta non solo con la cifra stilistica. In Ex Umbris ho provato ad alternare i piani temporali, rompendo così il flusso della storia e a introdurre elementi che per contro la riannodano. Sta a voi decidere se questo giochino mi è riuscito. Qui sotto l'incipit di Ex Umbris
«Lo senti il profumo del mare?»
«Eccome!»
«Manca poco, vero?»
«Ancora una decina di minuti» risponde il
papà di Irma, con un sorriso.
I petti si agitano, aspirano come mantici
il salmastro, vorrebbero già essere in spiaggia.
Appena usciti dall’autostrada le ragazze
avevano abbassato il finestrino per “respirare il mare”, dicevano.
Daniela, mamma di Irma le ha riprese.
«Chiudete, non siamo ancora arrivati.»
Hanno lasciato uno spiraglio, per far
entrare l’aria carica di sale.
La visione del cartello bianco con la
scritta FINALE LIGURE porta al massimo
l’eccitazione delle due ragazzine.
Post Scriptum: Cerco la lingua è la canzone della PFM che ha ispirato il titolo di questo post. Qui sotto musica e testo
Cerco la lingua
La lingua che scorre
Che e dolce
Che rotola magica e folle
Dentro il cevello
E nella saliva Rivolta le note Spalanca la gola Nei linguaggi delle strade delle osterie Nell'inchiostro dei dialetti che non vien via Cerco la lingua Arrossata dal vino Sbiancata dal sale E dal fumo orientale Dentro nei libri E nelle canzoni Rivolta il pensiero E l'accento straniero Alfabetto fatto di musica Suono acceso sotto la cenere Cerco la lingua La lingua che scorre Che e dolce Che rotola magica e folle Frasi fatte di musica Suono acceso sotto la cenere Lingua che mai ci metta a disagio Che cambi ritmo Che si lasci spezzare Accarezzare Che ci aiuti a dire le cose!
Dieci anni fa, il 5 aprile 2007, iniziavo a scrivere su questa piattaforma.
I blog erano all'apice, Facebook non era ancora nato, tutti scrivevano di tutto sulle pagine di questi diari digitali.
Ho iniziato a scrivere innanzitutto perchè mi piace, amo comunicare attraverso la parola scritta ( e lo faccio meglio che a voce, a quanto pare), e nel blog trovavo il naturale proseguimento di diari, appunti e quelle poche pubblicazioni sulla stampa locale.
Non ho affrontato un tema specifico, ma nemmeno ho scritto di ogni cosa mi venisse in mente.
L'idea di fondo che ha accompagnato i quattrocentosettantasette contributi pubblicati sino a oggi (questo è il 478esimo) è sempre stata quella di condividere la mia visione soprattutto in ambito culturale, tecnologico e scientifico, senza nessuna pretesa di autorità, semplicemente proponendo il mio pensiero.
La nuvola dei temi trattati con maggior frequenza
Non so se sono stato utile a qualcuno, con i miei commenti. Un guadagno personale c'è sicuramente stato, visto che ogni volta che intendi scrivere qualcosa a beneficio di altri, ti costringi a esporre i tuoi pensieri in maniera chiara e comprensibile, a riconsiderare l'umiltà, perchè non sei un esperto su tutto, a prevedere la concisione, perchè il tempo è denaro, anche se ne gettiamo via la maggior parte.
Dieci anni, in termini informatici, sono una vita.
Sono felice di averla vissuta.
Appunti Commento sul mio taccuino ( cartaceo e in web) gli argomenti che di volta in volta mi sembrano più interessanti, con un obiettivo semplice: cercare di migliorare e rendere più chiara la mia visione del mondo. E se questo può aiutare anche voi, ne sono felice.