lunedì 25 gennaio 2016

Rinnovare la memoria, rinnovare la cultura

(da Internet)

Sabato scorso ho assistito alla presentazione del libro a fumetti "Il viaggio di Roberto" di Giovanni Redaelli, evento promosso dall'ANPI cernuschese in occasione della giornata della memoria.

Non sto a dilungarmi sul significato della giornata e sul dovere di ricordare, che molti più quotati di me sanno commentare meglio.  Il valore aggiunto dell'evento era la presenza dei giovani, sia nella persona dell'autore del fumetto, sia nella performance, dal vivo e in video di alcuni studenti che hanno raccolto testimonianze e si sono prestati a rinnovare la memoria dei loro nonni.

Come è stato detto, hanno "raccontato storie di morte cercando di portare un messaggio di vita".

Il fumetto, opera di un ventitreenne  disegnatore con una particolare predilezione per Roberto Camerani e la sua storia è stato esplicitamente impostato per una fruizione "popolare" facile da seguire anche da chi non  legge Topolino, Tex & c.. Forse anche a causa di  questo  (e alla giovane età dell'autore)  sconta alcune ingenuità grafiche e una certa timidezza: qualche guizzo in più nella sceneggiatura e nella grafica non avrebbe guastato. Ciononostante, l'impatto con la storia raccontata è forte, le immagini prendono immediatamente e veicolano emozioni pure. Chi non ne sa abbastanza potrebbe integrare la storia  con altre testimonianze (su memoriarinnovabile.org). Ma già  così la testimonianza di Roberto  appare limpida.


Ma a ben vedere non  sta solo qui il bello di quel pomeriggio in una biblioteca affollatissima. Il fatto è che  i protagonisti di una narrazione della storia di quasi ottant'anni fa sono stati dei ventenni. 
Il fatto è che la cultura, sabato, l'hanno fatta loro.
Ed è cosa rara nella nostra città. Siamo ancora legati alla concezione di una cultura come "altra" rispetto alla vita reale. Cultura come elevazione  dalla massa, come strumento di distinzione, di separazione, mai di inclusione. Cultura come realizzazione di sè, spesso autoreferente, non a servizio della comunità per aiutarci a comprendere il mondo che viviamo. 

E invece serve una cultura della condivisione, serve raccontare e interpretare il quotidiano, servono voci che esprimano linguaggi differenti,  adeguati ai cambiamenti in atto per i quali i modelli interpretativi cari alle nostre generazioni non sono sufficienti.
Anche in questo i giovani possono essere speranza.




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