(da Internet) |
Sabato scorso ho
assistito alla presentazione del libro a fumetti "Il viaggio di
Roberto" di Giovanni Redaelli, evento promosso dall'ANPI cernuschese in
occasione della giornata della memoria.
Non sto a dilungarmi sul significato della
giornata e sul dovere di ricordare, che molti più quotati di me sanno
commentare meglio. Il valore aggiunto dell'evento era la presenza dei
giovani, sia nella persona dell'autore del fumetto, sia nella performance, dal
vivo e in video di alcuni studenti che hanno raccolto testimonianze e si sono
prestati a rinnovare la memoria dei loro nonni.
Come è stato detto, hanno "raccontato
storie di morte cercando di portare un messaggio di vita".
Il fumetto, opera di un ventitreenne
disegnatore con una particolare predilezione per Roberto Camerani e la
sua storia è stato esplicitamente impostato per una fruizione
"popolare" facile da seguire anche da chi non legge Topolino, Tex
& c.. Forse anche a causa di questo (e alla giovane età
dell'autore) sconta alcune ingenuità grafiche e una certa timidezza:
qualche guizzo in più nella sceneggiatura e nella grafica non avrebbe guastato.
Ciononostante, l'impatto con la storia raccontata è forte, le immagini prendono
immediatamente e veicolano emozioni pure. Chi non ne sa abbastanza potrebbe
integrare la storia con altre testimonianze (su memoriarinnovabile.org).
Ma già così la testimonianza di Roberto appare limpida.
Ma a ben vedere non sta solo qui il bello di quel pomeriggio in una biblioteca affollatissima. Il fatto è che i protagonisti di una narrazione della storia di quasi ottant'anni fa sono stati dei ventenni.
Il fatto è che la cultura, sabato, l'hanno
fatta loro.
Ed è cosa rara nella nostra città. Siamo
ancora legati alla concezione di una cultura come "altra" rispetto
alla vita reale. Cultura come elevazione dalla massa, come strumento di
distinzione, di separazione, mai di inclusione. Cultura come realizzazione di sè,
spesso autoreferente, non a servizio della comunità per aiutarci a comprendere
il mondo che viviamo.
E invece serve una cultura della condivisione,
serve raccontare e interpretare il quotidiano, servono voci che esprimano
linguaggi differenti, adeguati ai cambiamenti in atto per i quali i
modelli interpretativi cari alle nostre generazioni non sono sufficienti.
Anche in questo i giovani possono essere
speranza.
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