Io, Bertolo Belotti fu
Bonaldo, da Averara, di professione falegname, venni incaricato per un certo
tempo di provvedere alla realizzazione di ammobiliamento per le stanze della
Villa del Conte Alari.
Avendo infatti questi ricevuto
il grado di nobiltà da poco tempo, intendeva provvedere a nuovo mobilio, specie
per quelle stanze che avrebbe destinato a futuri ospiti suoi pari.
In tal periodo, si era in
Quaresima, una sera venni invitato da alcuni
lavoranti a partecipare alle celebrazioni
vespertine nella Cappella della Villa. Vi avrebbero partecipato anche i
conti, mi dissero.
Ora, il signor Conte mi
era familiare, avendo con egli contrattato i lavori e il compenso, sei soldi
ogni mese. Ma mai avevo veduto la signora Contessa Teresa, che assai mi incuriosiva,
avendo udito essere lei di molto bello aspetto e maniere.
Con questo proposito
quella sera mi accostai alla Cappella. È questa una costruzione molto piccola,
posta sul lato orientale del maestoso
cancello d’ingresso alla villa, la qual cosa è curiosa, sapendo che i nobili amano realizzare nei loro edifici
cappelle per i loro uffici sacri, ma sempre queste sono poste nel cuore della
costruzione, invece questa è posta all’esterno, e senza entrare nella villa, fittavoli
e
mezzaiuoli possono assistere alle funzioni.
Entrai dunque, e ansioso
di vedere la signora Contessa scrutavo le figure accanto alla balaustra, in
attesa del sacerdote officiante, ma era tutta plebe, non nobili.
Uno al mio fianco,
comprendendo il mio intento, mi disse che i signori assistevano la funzione da
una stanza posta dietro la grata che si vedeva nella parete del presbiterio,
sopra la porta che recava in sagrestia. Deluso, presi a guardarmi intorno,
ammirando la cappella.
È questa una piccola
costruzione inclusa in otto lati di cui uno si apre al presbiterio, ove risiede l’officiante, tutta dipinta in tenui colori tortora e rosa
incarnato, i fregi dorati ornano massimamente il presbiterio, e i capitelli che
sostengono il soffitto. Lo quale è quanto di più magnifico abbia veduto.
Iscritto in una figura
geometrica chiamata ellisse, un grande affresco apre la volta della cappella
alla visione del Paradiso. La luce della Trinità si diparte dal centro e illumina innumerevoli figure, sicuramente santi, di
cui tuttavia, a cagione della mia scarsa attitudine allo studio, non sapevo
dare nome.
Mi risolsi dunque di
chiedere al gentiluomo che mi stava accanto, a modo e ben vestito, e che dunque
immaginavo in grado di illuminare la mia ignoranza. Difatti egli dapprima mi
spiegò che la forma del soffitto era forse conseguenza delle scoperte dell’illustre
scienziato Keplero, che riteneva tale figura geometrica come costante nei
movimenti celesti. Inoltre mi illustrò diligentemente
tutti i santi ivi rappresentati, di cui però rammento solo alcuni. Abbiamo
dunque, come figura principe tra tutti quelli che rendono onore alla trinità
San Giacinto, protettore del signor Conte,
poco più in là, oltrepassati San Francesco e un altro santo francescano, vi è Santa
Teresa, patrona dell signore Contessa. Ancora, sul fianco opposto, San Carlo e
Sant’Ambrogio.
Ancora il gentiluomo
indirizzò il mio sguardo all’altare ove una grande tela magnificava ancora la
divozione dei signori Conti, per tramite dei propri patroni, san Giacinto e
santa Teresa, amorevolmente accolti dalla Nostra Signora Madre di Dio, con i
braccio il Santo Bambino e alle spalle San Giuseppe.
Intanto i vespri erano
iniziati. Stetti pensieroso sino alla conclusione. Uscendo mirai il grande
edificio che oltre il cancello riempiva la visuale.
Pensai: gli uomini sono
caduchi. Un attimo, e di noi non resta che un mucchietto di ossa. E una domanda
nacque nelle mia mente. Cosa resterà di tutto questo? Resteranno solo le opere,
gli edifici, l’arte e gli affreschi, o restera qualcosa anche di noi, uomini
mortali?
Anno Domini 1735,
Cernuschio,
Bertolo Belotti