(approssimandosi la festa del papà, mi hanno chiesto una riflessione da pubblicare sul periodico Voce Amica, che qui riporto)
In questa società liquida dove i cambiamenti sono repentini, così come i diversi atteggiamenti dei nostri figli, ci viene chiesto di essere padri.
La base granitica su cui si basava la famiglia di cinquant’anni fa si è sgretolata e con gli anni e anche attraverso errori mi sono reso conto che le modalità ereditate dalla nostra educazione familiare a volte sono inutili o controproducenti.
Da queste e altre considerazioni nasce l’elenco, stilato qui sotto, delle cose che ho imparato nell’essere padre.
- Ho imparato ad accogliere. I figli entrano nella tua vita senza chiedere permesso, riempiono la casa, scombinano abitudini e orari, e quando sono molto piccoli rilasciano spiacevoli prodotti del loro metabolismo.
- Ho imparato la pazienza. Per una qualche legge sulla relatività universale, il tempo di un bambino scorre diversamente dal nostro, e quello di un adolescente pure.
- Ho imparato a sciare a quarant’anni con mio figlio Nicolò, a conoscere i balletti di danza classica con Maria Sofia, a rivolgere attenzione allo sport ( basket, judo, persino calcio), e apprezzare la musica classica e i musicals grazie al talento di Filippo.
- Ho imparato a non restare confinato ai gusti musicali e di costume degli anni ottanta, perchè l’arte è evoluzione.
- Ho imparato a essere esempio senza pretendere di insegnare.
- Ho imparato a essere sostegno senza sostituirsi.
- Ho imparato a essere guida senza essere competitivo.
- Ho imparato a educare senza imporre propri modelli.
- Ho imparato che solo creando legami di coppia, solo con una armonia che non è assenza di conflitti, ma comprensione e volontà di superare le differenze, si può continuare a crescere come genitori ( un grazie a Gabriella).
- Ho imparato a perdere i figli, perchè quando si affacciano alla condizione adulta, tu non sei più davanti a fare la strada, ma dietro, a guardargli le spalle.
“I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
[...]
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.”
Gibran Khalil Gibran
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