lunedì 4 giugno 2007

Quando un figlio diventa uomo

Professione di fede - adolescenti 1993


Ho notato l’altra sera, con sorpresa, che gli occhi del mio figlio maggiore che mi stava parlando erano alla stessa altezza dei miei, Dunque è alto come me, forse di più, tra breve mi guarderà dall’alto al basso.
Sarà perché è la prima volta, ma è strano.
Da quattordici anni sono abituata, per parlare con i miei figli, a chinarmi.
E ora mi accorgo che il grande mi sta di fronte, fisicamente quasi adulto;
e mi attraversa un sentimento strano, fra l’orgoglio e il disorientamento.

Non posso non ricordare che – appena ieri – si aggrappavano a me per camminare; poi sulle scale, un giorno si sono liberati dalla mia mano dicendo: “Da solo! Sono grande, ormai!”. Poi puntualmente inciampavano nei gradini troppo alti, acciuffati un attimo prima di rotolare a terra.
Riaffiorano alla mente le tappe della loro crescita.
Rivedo le facce fiere e un po’ spaventate del primo giorno di scuola.
Recite di Natale e poesie a memoria, e pomeriggi gelati ai bordi di un campetto da calcio dove un branco di ragazzini si azzuffava senza riuscire a trovare il pallone.
E sempre, per quattordici anni, loro erano piccoli, e io grande. Io che li proteggevo, loro protetti.

Sicché quello sguardo scambiato alla pari, l’altra sera, è il principio di una rivoluzione. Tuo figlio è grande, e non ti capaciti di come sia successo così in fretta; né sai davvero come sarà, d’ora in poi, lo stare di fronte a quello che non è più il tuo bambino.
Che emozione in quell’improvviso riconoscere, in tuo figlio, un uomo.

È lo stupore antico delle madri e dei padri, una generazione dopo l’altra, nel sentirsi silenziosamente superati.
E il ringraziamento sgorga per chi ha aiutato tuo figlio nel sorpasso, dagli insegnanti che in questi anni lo hanno accompagnato nella scoperta del sapere, agli educatori, che sono cresciuti insieme a lui come fratelli maggiori, e a don Andrea, tenace costruttore e guida di un cammino che trova compimento oggi, nella loro Professione di Fede.
Vai, dunque! Parti! Vorresti sapergli dire con la faccia lieta di chi sia certo di un lieto destino. Ma non ci riesci, per quanto ti sforzi, e quello sguardo sul figlio, alto ormai più di te, diventa troppo lungo e pensieroso.

“Cos’hai? Perché mi guardi così?” chiede lui stupito, lui che non sa e che ancora non potrebbe capire. Niente, rispondi , ma non è vero.
In un istante qualunque di una sera come tante è cambiata , in silenzio, una stagione – come quando ci si alza al mattino e l’aria fresca dice che, in una notte, l’estate è finita.

Libero adattamento da un articolo di Marina Corradi (Noi Genitori e Figli, del 25 marzo 2007) , elaborato da Gabriella e Loris Navoni

2 commenti:

  1. Grazie per aver condiviso il testo.
    Preparatevi per le puntate successive: mio figlio mi guarda minaccioso chiedendomi i soldi, mio figlio mi quarda con compassione e dice che sono vecchio, mio figlio...
    Ciao
    Luciano

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Appunti
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