martedì 8 dicembre 2020

Leggere Guardare, Pensare, Progettare

 


Da tempo avevo sentito parlare di questo volume, Guardare, Pensare, Progettare di Riccardo Falcinelli (ed. Stampa Alternativa&Graffiti) come di uno strumento indispensabile per i designer industriali.  Pensavo che forse avrebbe potuto dire qualcosa al progettista in genere, non solo a chi si occupasse di estetica, ergonomia, usabilità, ma anche a chi avesse a che fare con progettazione circuitale, meccanica, e in tutte le scienze applicate.

Avuta la possibilità di leggerlo, mi sono reso conto che gran parte dell'attenzione è dedicata a come la nostra mente interpreta ciò che vede, come il cervello attiva i suoi neuroni per interpretare la realtà e le sue rappresentazioni umane.  Questo, che potrebbe apparire come un esercizio di erudizione, è invece requisito necessario a comprendere quelle regole pratiche che guidano ad esempio l'attività del visual designer (che si trovano  racchiuse in libri  molto pratici quali "Don't make me think" di Steve Krug, per esempio).

Sul finire della lettura, mi sono chiesto cosa avrei potuto  ricordare che fosse utile a fortificare l'esperienza di progettazione. Credo almeno alcuni temi.

1) La relazione con il mondo. Falcinelli dice: "Credo che il mondo non sia fatto per essere guardato ma per essere usato, cioè per entrarci in relazione, per chiederci cosa ci possiamo fare."  Ho incontrato spesso e da parti diverse il tema della relazione. E' una condizione per l'esistenza sotto diversi aspetti, da quello fisico ( qui torno a quello che dice Carlo Rovelli, ma è la teoria dei loop nell'ambito della meccanica quantistica che ce lo dice, che "questi quanti di spazio, particelle elementari, fotoni, quanti di gravità non vivono immersi nello spazio, formano essi stessi lo spazio. [...] interagiscon incessantemente gli uni con gli altri, anzi esistono solo in quanto termini di incessanti interazioni"-C.Rovelli, L'ordine del tempo), a quello sociale.

Chi è chiamato a progettare  finanche un pezzo meccanico, pur dovendo confrontarsi con le tecniche, le leggi scientifiche che  regolano i fenomeni che intende controllare,  non può prescindere dal fatto che ogni risultato del suo lavoro è in funzione di un progresso, un miglioramento della condizione umana (vi dice niente il termine innovazione?)

2) C'è differenza tra percezione della realtà e Realtà. il nostro sistema sensoriale combinato con il cervello svolgono ogni decimo di secondo interpretazioni accurate del mondo in cui siamo immersi.  A volte però cadono in errore. 

I due segmenti orizzontali hanno la stessa lunghezza,
ma percepiamo quello in alto più lungo.

3) "Guardare consapevolmente è già pensare; e pensare consapevolmente è già progettare. Guardare, pensare, progettare sono così aspetti senza soluzione di continuità tra loro." 

4) Il designer è un artigiano consapevole, che continuamente si fa domande sul suo operato. Questo è il punto che più di ogni altro possa davvero rappresentare l'essenza del processo mentale che è racchiuso nella parola 'progettare'.  Un atto che coinvolge sensi e cervello, cultura e immaginazione e che sempre percorre quel ponte che sta tra tecnologia e umanità.

 


sabato 14 novembre 2020

Note a margine di due letture consecutive: "Bianco" di Laura Bonalumi e "Città d'argento" di Marco Erba


 Ho da pochi giorni letto in sequenza due romanzi, "Bianco" di Laura Bonalumi, e "Città d'Argento" di Marco Erba. Nonostante in entrambi (più evidente in quello di Laura) trasparisse l'intento di rivolgersi a un pubblico giovane, i cosidetti Young Adults, sono rimasto fortemente colpito.

Dopo "Bianco" sono andato a rivedermi il film catastrofico "The Day after Tomorrow", mentre "Città d'argento" mi ha tolto il sonno per un paio di notti ( per un'ora buona, poi sono crollato.

Con l'intento di scrivere questa nota, ho cercato di capire  cosa avessero in comune questi due testi, oltre al fatto che gli autori sono (miei) concittadini e legati a me da vincoli di parentela ( Laura) e amicizia (entrambi).

[Digressione n°1: non è difficile a Cernusco conoscere qualche autore di romanzi o saggi. Ne siamo pieni. A puro titolo di esempio illustri rappresentanti sono stati la spumeggiante Loredana Limone, con la sua saga di Borgo Propizio. e il professore Giorgio Perego, fine narratore di storia locale. ]

Insomma, forse un paio di temi possono essere usati per presentare queste due opere.

Il primo è la speranza.

In "Bianco" essa è la trave che sostiene tutta la narrazione.

I protagonisti agiscono guidati dalla speranza che alla catastrofe segua l'armonia, pur con equilibri differenti a quelli cui si erano abituati

In "Città d'argento" si coltiva la speranza nell'essere umano, che sia in grado di imparare dai propri errori e di non cedere agli impulsi distruttivit ma coltivi il senso della pace e dell'appartenenza a una unica famiglia umana.

[Digressione n° 2: Città d'argento esordisce come un classico romanzo per adolescenti, con adolescenti come protagonisti e con  i classici problemi degli adolescenti. A un certo punto, però  cambia registro, la tensione sale, e il finale consolatorio non basta a cancellare le immagini delle atrocità descritte e documentate storicamente.]

Il secondo tema è quello delle interazioni. L'esistenza degli  esseri umani non può prescindere dalle interazioni gli uni con gli altri. La realtà stessa dell'universo è interazione ( semplificando molto, ma molto, le lezioni di Carlo Rovelli). 

Nelle conseguenze emotive delle relazioni con le persone si ritrova il senso delle storie raccontate. 

Nella capacità che ha la pagina scritta di indurre emozioni sta la bellezza del leggere.


lunedì 19 ottobre 2020

Il profilo delle foglie


 Sviluppare una narrazione è un po' come seguire il profilo delle foglie.

Nei giorni di autunno, coltivando l'ambizione di una uscita di scena spettacolare, gli alberi esibiscono la loro veste più intensa.  Così gli umani, per conservare il ricordo dei colori e dei disegni frattali delle chiome, accentuano l'attenzione verso  quei coinquilini silenziosi.



Dunque ci si rende conto che vi sono foglie semplici, dal  disegno regolare, in forma di mandorla, di lancia o di cuore. Percorrere il suo profilo è semplice, come una narrazione che si dipana senza colpi di scena o flashback. Possono esserci dentellature che ne vivacizzano l'aspetto. Sempre sono sostenute da una buona nervatura. 






Si trovano poi foglie dal profilo articolato, lobate, digitate, palmatosetta. Seguirne i contorni è impegnativo, ma  la bellezza di queste foglie è evidente. come in storie la cui trama  è complicata, piena di rimandi, di flashback, anticipazioni, cambi di percorso, e proprio per questo appassionanti.

Esiste dunque il grande albero della narrativa che ospita queste foglie, e trovi tra i suoi rami le trame che raccontano la grande storia dell'umanità. 

Poi le foglie cadono, arriva il vento e le scompiglia tutte.



mercoledì 19 agosto 2020

Seguire Sentieri




A dare retta a quella letteratura leggera delle riviste che si vogliono dare una impronta ecologista, pare che sia di gran moda il forest bathing o il shinrin-yoku ovvero quelle pratiche di camminare immersi nella foresta per guadagnarci in salute e consapevolezza.
Di per sé non sono pratiche del tutto esotiche, il sentirsi tutt’uno con il mondo della foresta è qualcosa che avviene in modo spontaneo, appena ti trovi all’ombra di giganti verdi i cui tronchi sembrano colonne di una cattedrale naturale.
La spinta a riscoprire un rapporto immediato con la natura ( nel senso di non-mediato, diretto) credo sia intrinseca nella personalità umana, anche se spesso soffocata dalla abitudini e dalle sovrastrutture culturali.


In montagna ( non solo, in ogni realtà geografica) un modo semplice, immediato per sentirsi in armonia con il creato, senza necessariamente ricorrere ai sofismi new age o alle suggestioni delle pratiche olistiche e biodinamiche, é senza dubbio andare per sentieri.
Oltre ai benefici del camminare in se, sia sulla fisiologia che sulla psiche, seguire sentieri significa fruire di paesaggi naturali di cui possiamo apprezzare i dettagli oppure, nel caso ad esempio di percorsi impegnativi, lanciare una sfida ai propri limiti, o ancora, prendere consapevolezza che stai camminando seguendo le orme di chi ti ha preceduto.


A meno che tu non sia un esploratore o un alpinista esperto, infatti, difficilmente traccerai nuovi sentieri, aprirai nuove vie. La maggior parte di noi, escursionisti o semplici villeggianti, percorre sentieri disegnati da altri, tracciati spesso per necessità , a volte vecchi di centinaia di anni.

Sono i sentieri della transumanza, della conduzione delle bestie ai pascoli alti, sono i percorsi delle merci negli anni faticosi del Medioevo, la Via Mercatorum, la strada Priula, sono i sentieri segreti degli spalloni, o i percorsi dei pellegrini verso le cittá sante di Roma e Santiago, sono le vie di collegamento tra i borghi, o i percorsi di caccia. In questo sistema circolatorio del nostro territorio scorrono i viandanti, i curiosi, i camminatori esperti e i passeggiatori occasionali.


Cammini, e senti l’ ereditá della storia che è passata da quelle strade, svelarsi le leggende nate dalle emozioni scaturite su quei passi.


Cammini, e ricevi una lezione di umiltà. Non sei il primo e nemmeno il più bravo. Altri prima di te hanno scavato nella roccia, posato pietre, liberato il sottobosco, calpestato la terra.


Cammini, e ti senti grato dell’ impegno dei tuoi avi, e nel seguire le loro strade ti senti parte di quella meravigliosa umanità che ha percorso, passo dopo passo, tutte i sentieri del mondo.


martedì 31 marzo 2020

La narrazione del virus, il virus della narrazione

La narrazione del Virus


Un modo unico, inedito, di raccontare un fenomeno di portata mondiale, devastante e veloce, così
impetuoso che le difese vengono smantellate in poche ore e costruire nuovi argini costa, in termini di tempo e risorse.
La narrazione è capillare, sfaccettata, analitica. Usa ogni canale mediatico, dalla TV al Web; ogni attore può essere, e lo è, narratore. Nessuno si sottrae.

L'informazione è riversata così abbondantemente che è persino difficile fruirla. Dov'è la verità? Qual è la voce sincera? Quali strumenti di analisi ho a disposizione?

La narrazione si estende nel raccontare la vita quotidiana, le bandiere alle finestre, i balconi  che risuonano delle canzoni cantate in coro da interi quartieri, le testimonianze drammatiche, quelle più ironiche.

Il virus della narrazione


Non solo i protagonisti si sentono in diritto di comunicare la vita al tempo del Coronavirus
Ognuno, in quanto spettatore, testimone imbelle  di un evento mondiale, pretende di dare voce alle sue impressioni ed emozioni.

Nulla di sbagliato in questo, se non fosse che la carica virale di un commento inopportuno, di una allusione,  un dubbio , un retropensiero è decisamente più micidiale del potere infettivo del coronavirus stesso.
Fioccano  teorie complottiste, riprese abilmente da chi le sfrutta come clickbait ( acchiappaclick), discussioni senza fine ( nel senso di scopo) sul potere antivirale della candeggina, aceto, succo di limone, lozione dopobarba,  bava di lumaca.
Nascono stuoli di investigatori che dalle fessure delle persiane spiano i vicini  postandone i movimenti sulle piattaforme social e commentando con atteggiamento indignato.
Si rispolverano catene di Sant'Antonio di devozione, con veglie di preghiera telematiche, come se Dio fosse tutto il giorno attaccatto al telefonino a consultare Facebook.

 Non credo che le nuove prospettive che si stanno per aprire nella fase successiva alla crisi pandemica, che quasi certamente cambieranno in parte il corso della storia, cambieranno veramente il cuore degli uomini. Pure, uno sforzo di cambiamento è richiesto. Ne va dell'umanità di ciascuno di noi.



domenica 8 marzo 2020

Silenzio

Una cosa di cui si sente la mancanza nella concitazione della quotidianità, ancor di più in questi tempi critici, è il silenzio.
Non il silenzio della fine giornata, quando spegni le ultime luci di casa e intorno a te il buio, pur stemperato dall'inquinamento luminoso, si impossessa dello spazio della mente.
Nemmeno è il silenzio delle chiese, nelle quali entri per cercare Dio o una parola di bellezza. Lì il tuo silenzio è rotto dal flusso delle preoccupazioni, delle suppliche, dell'intercalare ipnotico del rosario, a volte così fitto che la Parola cercata non trova spazio.

Il silenzio di cui parlo è quello che si prova sulla vetta di una montagna, quando il battito del cuore dopo la fatica della salita si calma e ti siedi ad ammirare il paesaggio intorno a te, di azzurro rocce e ghiaccio.
Non si è portati a parlare dopo questo genere di esperienze, poche parole pratiche, la narrazione si conserva per il fondovalle.
Lì, solo il vibrare del vento, e la tua anima nuda, a tu per tu con l'infinito.
E' un silenzio pieno. E' l'Universo, la Natura, Dio che irrompe nei tuoi sensi, ti assorbe, ti plasma.
Così diventi vetta, roccia, neve. Non vi è nulla al di là dell'immensità.
La stessa sensazione la percepisci anche di fronte alla distesa profonda del mare, o nel frastagliato profilo delle campagne intorno alle città quando, camminando o correndo, ti fermi colto da un particolare, e da esso lo sguardo si allarga all'orizzonte tessuto dei colori del tramonto.

Perchè quel silenzio svuota la mente, ti riporta all'essenziale, stempera il quotidiano che si fa piccolo e insignificante di fronte all'universo, di cui sei parte e spettatore.
Di questo silenzio vi è molto bisogno, in questi giorni.


sabato 1 febbraio 2020

La vita in equilibrio

Nella pratica dello yoga vi sono alcune posizioni nelle quali è richiesto di saper mantenere l'equilibrio. Una di queste, tra quelle che preferisco, è VRKSASANA, posizione dell'albero, mentre quella preferita da Gabriella, e tra le più spettacolari, è NATARAJASANA, posizione di Shiva re della danza ( la fa alla perfezione nostra figlia Maria Sofia, ma lei danza dall'età di quattro anni...).
VRKSASANA, posizione dell'albero
( dal Web, proprietà dell'autore)

Quando ci si approccia a queste e altre posizioni si comprende presto che l'equilibrio per il corpo umano non è un processo statico. Non è che una volta raggiunto il momento in cui tutte le forze gravitazionali  che insistono sulle superfici del nostro corpo si equivalgono, allora si può restare indefinitamente in quella posizione.
La nostra maestra di Yoga ci spiega che in realtà l'equilibrio è un processo dinamico, , formato dal continuo aggiustamento delle parti del corpo, tendini, muscoli.
E' una continua ricerca.
Che non deve essere affrontata con la forza bruta, con la pretesa di affrontare questa sfida come un nemico da abbattere.
Lo yoga insegna che  il risultato si ottiene assecondando il corpo, allineaando corpo, mente, anima; liberandosi dai preconcetti che, lungi dall'essere guide per una vita più semplice, invece si frappongono tra il nostro essere e il nostro profondo obiettivo.

NATARAJASANA posizione di Shiva re della danza
(dal Web, proprietà dell'autore)
Così è la vita.
Qualsiasi condizione della vita umana non è statica, cambia continuamente, per fattori esterni o interni ( una guerra, nei casi peggiori, o una spesa inaspettata, una grave perdita, così come un banale contrattempo, un dubbio, un ritardo).
Non si è mai "arrivati",  non si è mai tranquilli, non si raggiunge mai uno status fisso e inamovibile, ma tutto è in movimento, impercettibile a volte,  e ad esso ci si deve adeguare.

Si deve essere pronti ad agire, a  spostare il baricentro della propria esistenza, a percepire i cambiamenti, prenderne coscienza e attuare azioni che permettano ancora di ritrovare l'equilibrio.

Questo è qualcosa che ci insegna lo yoga.


Appunti
Commento sul mio taccuino ( cartaceo e in web) gli argomenti che di volta in volta mi sembrano più interessanti, con un obiettivo semplice: cercare di migliorare e rendere più chiara la mia visione del mondo. E se questo può aiutare anche voi, ne sono felice.